martedì 30 marzo 2010

GIL SCOTT-HERON




Charles Mingus una volta disse che tutti i musicisti jazz dovrebbero inchinarsi di fronte a Duke Ellington.
Tanto per la vecchia che per la nuova scuola dell’hip-hop dovrebbe valere la stessa cosa per Gil Scott-Heron. Uno dei più importanti precursori della musica rap, poeta e musicista socialmente e politicamente feroce, Gil diventa il punto di riferimento per tutti qugli artisti che durante gli anni 70 sviluppano una coscienza sociale e ne diventa anche il più importante e degno di nota. Nato a Chicago ma cresciuto nel Bronx, Scott-Heron riversa le sue esperienze di prima mano in tema di pregiudizi razziali nel songwriting e nel 1970 quando uscì il suo primo disco ‘Small Talk at 125th and Lenox’ aveva già pubblicato una raccolta di poesie e due racconti. Sebbene brani come ‘The get out of the ghetto blues’ e ‘Whitey on the moon’ diventano inni fra gli afroamericani, nessun altro pezzo ebbe un impatto paragonabile a quello di ‘The revolution will not be televised’ il suo capolavoro. Quantomai attuale, con questo brano Scott-Heron riuscì a delineare chiaramente ciò che distingue la finta società del consumismo dal mondo reale, esprimendo una critica condivisa da molte persone già negli anni 70 attraverso un concetto che per molti rimane rilevante ancora oggi: la Rivoluzione.
Parlando di un artista che nasce come poeta, vale la pena riportare una parte del testo del suo più grande successo.

Non sarai capace di rimanertene a casa, fratello.
Non avrai modo di attaccare la spina, accendere l’interruttore e metterti in disparte.
Perchè la rivoluzione non verrà trasmessa in televisione.

La rivoluzione non verrà trasmessa in televisione.
La rivoluzione non sarà presentata da Xerox
In 4 parti senza interruzioni pubblicitarie.
...
La rivoluzione non ti farà sembrare più magro di 10 chili,
Perchè la rivoluzione non verrà trasmessa in televisione, fratello.
...
Non vedrai immagini di porci che sparano ai fratelli al ralenty.
Non vedrai immagini di porci che sparano ai fratelli al ralenty

Green Acres, The Beverly Hillbillies, eHooterville
Junction non saranno più così dannatamente importanti, e alle
Donne non interesserà più se Dick alla fine si metterà con
Jane in ‘Search for Tomorrow’ perchè la gente nera
Sarà per strada a lottare per un futuro migliore
La rivoluzione non verrà trasmessa in televisione.

La rivoluzione non andrà giù meglio con una Coca.
La rivoluzione non combatterà I germi che causano l’alito cattivo.
La rivoluzione ti sbatterà al posto di guida.

La rivoluzione non verrà trasmessa in televisione, non verrà trasmessa in televisione
non verrà trasmessa in televisione
La rivoluzione non verrà mandata in replica, fratelli.
La rivoluzione la vivrete in diretta.

Dopo i primi album divisi fra varie etichette, Gil Scott-Heron approda all’Arista nel 1975 per la quale i primi due lavori si rivelano un successo anche grazie all’influenza del tastierista, collaboratore e co-leader della Midnight band, Brian Jackson. La collaborazione fra i due dà un’impronta jazz agli album e produce lavori splendidi quali 'Johannesburg' e 'Angel dust' ma mai nessun hit single. Quando però nel 1978 Jackson abbandona la Midnight band, Gil Scott-Heron passa sotto le mani capaci del produttore Malcom Cecil, già produttore degli Isley Brothers e di Stevie Wonder dando così ai lavori una direzione più funk. Il primo singolo prodotto da Cecil è la più grande hit di Scott-Heron: ‘The Bottle’. Gli anni 80 vedono l’arrivo di un nuovo obiettivo per gli attacchi politici del poeta, un personaggio a cui dedicherà più di un brano: Ronald Reagan.
Parecchi singles, fra cui anche i famosi 'B movie' e 'Re-ron' sono esplicitamente diretti contro la politica conservatrice dell’ex attore divenuto presidente degli Stati Uniti nel 1981.
Come aveva detto Scott-heron stesso qualche anno prima, lui e Brain Jackson erano solo degli “interpreti dell’esperienza nera” e ‘Reflections’ del 1981 rispecchia perfettamente quella definizione. Dagli omaggi a Marvin Gaye (Inner city blues) e Bill Withers (Grandma’s Hands) al reggae di Bob Marley (Storm Music), alla storia del jazz (Is that jazz?) all’attacco sopracitato a Reagan (B-Movie). Dopo ‘Movin target’ del 1982 e la pubblicazione del singolo ‘Re-ron’ Scott-Heron rimane in silenzio per più di una decade fino al 1994 anno dell’album ‘Spirit’, un messaggio per i gangsta rappers apparsi nel frattempo. ‘Message to the messengers’ in particolare avvisa i giovani artisti rap, che tanta influenza avevano sui ragazzi neri negli anni 90, di usare in modo oculato il loro potere mediatico. Altri 16 anni sono passati da quel 1994 e Gil Scott-Heron è rimasto assente anche per una condanna per droga da scontare, ma poco meno di un mese fa, nel 2010, ha pubblicato un nuovo lavoro ‘I’m new here’ che consentirà a nuove generazioni di conoscere e apprezzare la sua arte e darà il giusto scossone a quei vecchi ascoltatori che dopo la sua assenza potrebbero essersi addormentati davanti alla tv.

Paolo Zecca


THE REVOLUTION WILL NOT BE TELEVISED




THE BOTTLE




ME AND THE DEVIL (dal nuovo album "I'm new here")

FELA KUTI - Music is the weapon



“Coloro che ti conobbero meglio dicono che non saresti mai potuto scendere a compromessi col male che tutta la vita hai combattuto. Anche se indebolito dal tempo e dal fato, sei rimasto forte nella volontà senza mai abbandonare il tuo obiettivo di un’Africa libera, democratica e socialista.”
Dichiarazione alla stampa del Fronte Democratico Unito Nigeriano in occasione della morte di Fela Aniculapo Kuti.

L’autoproclamatosi ‘Black President’ è un personaggio complesso che ha vissuto molte vite, ha cambiato pelle, è rinato più volte. E’ ‘colui che ha la morte in tasca’ (Aniculapo), che ‘non può morire per mano umana’, che mai si è arreso alle violenze subite dai militari Nigeriani.
Figlio di una famiglia di anticoloniasti e attivisti per l’emancipazione totale dei neri, Fela cresce in un contesto in cui sia il padre che la madre che i fratelli, ognuno a modo loro, lottano tutta la vita contro l’ingiustizia e la discriminazione razziale, contro il nepotismo e il clientelismo a favore dell’eguaglianza dei popoli. Al seguito del fratello parte per Londra nel 58 per studiare musica al Trinity College of Music. Lì conoscerà la prima delle sue innumerevoli mogli, da cui avrà il figlio Femi. Tornati in Nigeria nel ’63, Fela trova lavoro presso la radio nazionale e forma i Koola Labitos con i quali offre uno spettacolo di Highlife, una miscela di sonorità jazz e percussioni africane molto popolare all’epoca che non riesce a decollare del tutto, a causa dell’enorme concorrenza di altri gruppi che propongono lo stesso genere. In ristrettezze economiche, con molte difficoltà, Fela riesce ad organizzare una tourneè americana per il suo gruppo. Questa esperienza gli cambierà la vita. Il bravo ragazzo, educato in inghilterra, sposatosi a ventidue anni e suonatore del genere musicale più di moda all’epoca viene catapultato nel durissimo mondo dello show business americano, viene umiliato e sminuito, viene risvegliato da quell’esperienza che vive come l’inizio di una nuova vita. Scopre sè stesso e le sue radici africane. Una volta negli states scopre che nessuno è interessato a una band di highlife in un paese in cui di musicisti jazz ce ne sono tantissimi e di talento. Da una band africana, l’america si aspetta si ascoltare musica folkloristica africana e Fela rimane shockato e senza ingaggi. Una ragazza incontrata in quel periodo, Sandra Smith, gli parla di Malcolm X e delle Black Panthers e Fela viene a conoscenza di eventi storici africani di cui non era a conoscenza. Il Black Power e il funk di James Brown influenzano cosi’ tanto Fela, che al suo ritorno in patria comincia i suoi concerti col saluto tipico a pugno chiuso delle pantere nere e inventa letteralmente da zero un nuovo genere musicale:
L’afrobeat, un mix di musica tradizionale africana, highlife e funk caratterizzata da testi esplicitamente antigovernativi e critici nei confronti del clima politico vigente in quasi tutte le nazioni africane negli anni 60. Quando James Brown arrivò in Nigeria per delle date nel 1970, il suo bassista dell’epoca Bootsy Collins disse: “Fela aveva un club a Laogs, e quando ci andavamo venivamo trattati come re. Gli dicevamo che erano i tizi più funky che avessimo mai sentito in vita nostra. Voglio dire, eravamo la band di James Brown, ma ci cancellavano completamente! Fu un trip che non scambierei con nient’altro al mondo!”. Tony Allen, batterista di Fela e figura chiave nell’invenzione dell’afrobeat, afferma che Brown mandò il suo arrangiatore a dargli uno sguardo. “Guardava il movimento delle mie gambe e quello delle mani, e si segnava giù tutto. Presero molto da Fela quando vennero in Nigeria. E’ come se entrambi in qualche modo si siano influenzati a vicenda. Fela venne influenzato in America, James Brown in Africa.” E le lezioni apprese dal Godftaher of soul si fondono meravigliosamente con le ipnotiche vibrazioni dei balli tradizionali nigeriani in un mix solidissimo che le band dalla line-up estesissima che negli anni si succedono sotto la guida di Fela - Koola Lobitos, Nigeria 70, Africa 70, Egypt 80- garantiscono grazie a un gran numero di cantanti e ballerine che si vanno ad aggiungere alla già immensa band composta da sassofonisti, trombettisti, batteristi, percussionisti, chitarristi e bassisti. Le registrazioni del Black President hanno quindi una spiccata tendenza alla jam session caratterizzate da lunghissime parti strumentali che introducono le robuste ritmiche funk di Tony Allen alla batteria, la cui caratteristica è la rivisitazione in chiave moderna di ritmi tradizionali africani, chitarre e basso tipicamente funk e linee di fiati dal timbro corposo - dato dai sax tenori in maggioranza nella sezione - arrangiate a parti molto strette.
Sono i testi delle sue canzoni però che trasformano subito la sua figura da musicista che risveglia coscienze a perseguitato, a delinquente, a ribelle. Le autorità si accaniscono su Fela perchè rappresenta un reale pericolo per i militari; lui, che diceva cose che nessun giornale avrebbe osato pubblicare: gli scandali finanziari, la corruzione, la tirannia, lo sperpero di fondi pubblici. Il suo album più conosciuto ‘Zombie’per esempio descrive il comportamento senza cervello dei militari Nigeriani che eseguono ordini come robottini al soldo del potere. La polizia lo picchierà, stuprerà le sue mogli e gli smantellerà la casa più volte, fino all’episodio più clamoroso avvenuto il 18 Febbraio del 1977 in cui più di 1000 soldati armati assale la sua casa, nel frattempo ribattezzata ‘Repubblica di Kalakuta’, la circonda, brucia il generatore di elettricità e brutalizza i suoi occupanti per lo più familiari di Fela. Il black president viene trascinato via per i genitali fuori dalla casa, picchiato e salvato da morte certa solo grazie all’intervento di un’ufficiale. La 78enne madre di Fela viene scaraventata fuori dalla finestra e morirà qualche giorno dopo per le ferite riportate.
Nel 78 Fela fonda un’ organizzazione chiamata “Movement for the people” e dichiara di voler diventare presidente della Nigeria ma le autorità riescono a tenerlo fuori dalle votazioni con svariati stratagemmi legali. Fela muore a 58 anni il 2 agosto 1997 di AIDS.

“Mi rifiuto di parlare in catene, solo un revolver può farmi tacere”
Fela Kuti



Paolo Zecca






JAMES BROWN




Dimenticate quel signore di mezza età col parruccone e la pancia stretta in una panciera elastica dai colori improbabili. Dimenticate Rocky IV e 'Living in America'.

Oggi parliamo di James Brown, parliamo dell’unico e inimitabile Godfather of Soul, di Mr. Dynamite, the Hardest Working man in the Show Business. Parliamo di come un ragazzino cresciuto da una zia in una catapecchia della Georgia, in assoluta povertà, lucidando scarpe, raccogliendo cotone e rubacchiando qua e là abbia potuto meritarsi cotanti appellativi.

Dopo un inizio folgorante come Soul singer grazie a singoli di successo quali “Please, please, please” del ‘56 e “Try me” del ’58, Brown comincia ad arrangiare in modi differenti la sua musica, con intenzioni più jazz. Come nel jazz infatti, al centro del processo creativo pone le jam sessions sia in stage che in studio e l’improvvisazione, da lui stesso guidata, come motore e meccanismo alla base di tutto il suo lavoro. Non meraviglia scoprire quindi che i bandleaders di Brown fossero jazzisti. Alfred ‘Pee Wee’ Ellis, bandleader durante il periodo della genesi del funk, studiava da Sonny Rollins quando si unì al gruppo nel 65. Fred Wesley, bandleader a fasi alterne dal 69 al 74, si è sempre definito un “frustrato trombonista be- bop” e andò a suonare con Count Basie subito dopo le sue session funk degli anni 70. Brown capisce inoltre come far ruotare tutto attorno al groove anzichè alla melodia e questa rimarrà una rivoluzione che ancora ha impatto sulla musica dei nostri giorni. I problemi con i suoi precedenti manager, l’esperienza dei tour, l’arrivo del chitarrista Jimmy Nolen, del batterista Melvin Parker e del suo giovane fratello Maceo, aiutano poi Brown a mettere maggiormente a fuoco il suo sound:

Mi resi conto che la mia forza non era nei fiati, ma nel ritmo. Pensavo qualsiasi strumento, anche le chitarre, come fossero batterie e finivo per sentirli come batterie. Avevo anche capito come far avvenire questa magia. Durante l’ascolto delle registrazioni, quando vedevo gli speakers saltare, vibrare in un certo modo, la riconoscevo per ciò che era: Emancipazione, libertà. E potevo dire anche solo guardando gli speakers se il ritmo era giusto o no.

Il risultato del lavoro di questo periodo è “Papa’s got a brand new bag”, il brano che cambiò la soul music per sempre. Considerato il ‘fossile originario’ del funk, il brano fu registrato nello stesso mese in cui fu assassinato Malcolm X e uscì il 17 Luglio del 1965, tre settimane prima delle “Watts riots” a Los Angeles, le insurrezioni nate come reazioni alla brutalità della polizia nei confronti della gente di colore.

Quella fu la canzone della svolta. Rivoltò tutti sotto sopra. Perché enfatizzai l'uno e il tre al contrario di quello che succedeva col tradizionale modo di contare della musica scritta sul due e sul quattro. Ma ci aggiunsi anche gospel e jazz e andai contro tutte le regole.

Solo James Brown fu capace di navigare le onde dei ritmi contrastanti senza esserne travolto e insegnò a un intero universo di musicisti a ‘rinunciare o a lasciarsi andare’ (Give it up, or Turn it a loose).
La ‘nuova borsa’ (brand new bag) del padrino del soul era già nota agli appassionati del Rhythm and Blues che ne avevano ascoltato gli ingredienti base in "Out of sight" del 1964, ma per l'estate del 1965 il mostruoso groove era già presente e riconoscibile in tutta la sua nuova e vibrante energia in brani come "Respect" di Otis Redding, "Uptight" di Stevie Wonder e "No Pity (in the naked city)" di Jackie Wilson.
Dalla Seconda Guerra Mondiale, la struttura ritmica standard dei batteristi R'n'B era stato lo shuffle. Con il Funk, lo shuffle divenne obsoleto.
La scomparsa dello shuffle (lo strisciare) ha però un significato anche più profondo.
Con l’uscita di “brand new bag” si apre un periodo in cui Brown carica a tal punto di significati la propria musica che la sua carriera finisce per deviare in una direzione completamente nuova. Siamo nel periodo di “It’s a man’s man’s world” (il mondo è degli uomini), di “money won’t change you” (i soldi non ti cambieranno), di “don’t be a drop-out” (non abbandonare la scuola).
James Brown colpisce l’ascoltatore con la cruda verità del quotidiano. Primitiva, viscerale, emotiva. Ma d’altronde questo è sempre stato l’obiettivo della musica nera.
In uno dei momenti più memorabili della sua carriera, Brown convince il sindaco di Boston a tenere ugualmente il suo concerto previsto per quella sera, nonostante fosse il giorno della morte di Martin Luther King e a mandarlo in diretta televisiva, di modo da distrarre le persone da quella tragedia e evitare disordini per le strade. Grazie a questo evento, i danni per le strade di Boston vengono contenuti. Brown attraversa quindi la nazione predicando il suo messaggio di “mantenere la calma” e “studiare, non bruciare”. Dice alla gente “di farsi un’educazione, lavorare sodo e provare a crearsi una posizione per poter possedere qualcosa. Questo è Black Power”.
A quei tempi qualsiasi personaggio pubblico di colore era tenuto a dire la propria sulla Black Revolution e Brown era ormai ben radicato nel cuore dei neri e chiunque era conscio del potere che aveva sulle persone. Venne quindi il momento di una presa di posizione decisa e meno moderata sul futuro della sua gente.
Quello che Brown realizza ebbe forse il più grosso impatto sulla nazione nera dai tempi delle morti di King e Malcolm X.
“Say it loud (i’m black and i’m proud)” è un punto di svolta nella musica nera, mai prima d’allora la musica nera popolare aveva così esplicitamente espresso l’amarezza dei neri nei confronti dell’uomo bianco e in più la cosa viene veicolata attraverso del ferocissimo funk. Altri pezzi in passato erano stati intesi simbolicamente come delle “chiamate alle armi”, ma Say it Loud è un invito all’azione:

Vogliamo l’opportunità di fare le cose per noi stessi
Siamo stanchi di sbattere la testa contro il muro
E di lavorare per qualcun’altro.
Siamo persone, siamo proprio come gli uccelli o le api
Moriremmo in piedi piuttosto che
Vivere ancora strisciando sulle ginocchia
Ditelo forte, Sono nero e ne sono fiero!

La segregazione decideva che i neri non dovevano mai stare in piedi diritti di fronte a un bianco, mai guardare un bianco negli occhi, o replicare a un bianco, ma solo trascinarsi via (shuffle), a testa bassa, con la loro dignità completamente perduta. Ecco che lo shuffle, uno dei tanti aspetti della "negritudine", venne spazzato via negli anni Sessanta.
Ad una generazione di neri frustrati che capivano bene Malcolm X quando parlava di prendersi la libertà “con ogni mezzo necessario”, Brown tocca un nervo scoperto. “Say it loud” influenzò chiunque, dai poeti rivoluzionari Umar Ben Hassan e Gil Scott-Heron a Marvin Gaye e Stevie Wonder. Arrivò persino agli intellettuali di colore, ai poeti che già lo ritenevano uno di loro furono entusiasti della sua presa di coscienza.
Il brano arrivò al N.1 della classifica soul e N.10 di quella pop ma fu anche l’ultimo brano in top 10 per James Brown fino al 1986 e l’inizio del declino del Padrino del Soul. Il suo pubblico bianco lo abbandonò non capendo il brano o fraintendendolo, ma quella fu una mossa che Brown non ha mai rimpianto:

La canzone mi è costata una buona parte del mio pubblico. Non rimpiango comunque di averla registrata, anche se è stata fraintesa. Ce n’era pesantemente bisogno all’epoca. Aiutò gli afro-americani in generale e qualsiasi uomo dalla pelle scura in particolare. Sono fiero d’averlo fatto.

Paolo Zecca

James Brown salva Boston, il giorno della morte di Luther King:

Papa's got a brand new bag al Sullivan Show:

James Brown - GET UP OFFA THAT THING

George Clinton & Parliament-Funkadelic


La storia dei Parliaments di George Clinton ha radici lontane e comincia negli anni 60, con un Clinton adolescente, barbiere in un salone del New Jersey.
E' qui che nascono i Parliaments, con la esse, inizialmente gruppo di doo-wop che forti dell'aggancio di Clinton con la motown, dove lavorava come songwriter, produrranno un solo singolo di successo: "(I wanna) Testify".
Sarà sotto il nome di Parliament-Funkadelic che il gruppo riuscirà a raggiungere il successo unendo in un'unica super-formazione musicisti di talento provenienti dalle band di Jimi Hendrix, Sly Stone, Cream e James Brown e dopo i primi album di assestamento nel 1975 produrranno l'album "Mothership Connection" con cui comincia l'era del Funk come forma spirituale della musica nera (nella tradizione del jazz, del soul, del reggae e del gospel) .
Per la prima volta in assoluto un album di musica popolare nera non conteneva neanche una ballad. Persino gli album riempitivo di James Brown contenevano almeno un brano lento, ma "Mothership Connection" era un album interamente Funk – il prototipo dell'album Hip-Hop degli anni 90, in cui ogni beat è un beat Funk. "Mothership Connection" (la connessione all'astronave madre) fu un nido di concetti e ritmo mai raggiunti prima, con testi che parlavano di "tornare a reclamare le piramidi" e con Clinton e lo scrittore-artista Pedro Bell fonti primarie di un flusso ininterrotto di filosofia nera che derideva l'importanza autoreferenziale della religione (e della politica) mentre ne creavano elusivamente una loro personale.
L'utilizzo di Clinton di canti religiosi su base funk era già noto, ma diventò sovversivo nel momento in cui i contenuti si politicizzarono e si mescolarono a temi molto amati della religione nera in contesti estremamente attuali di affermazione dei neri.
Su "Mothership Connection" per esempio il coro nel ritornello "Swing down, Sweet chariot stop and let me ride (Scendi giù, dolce carro fermati e lasciami salire)" era un riferimento al tradizionale inno sacro nero. "Quando il corno di Gabriele squillerà, farai meglio ad esser pronto a salire" seguiva l'inno poi alla fine del brano. In questo caso però, il carro non era un angelo ma un'astronave con un equipaggio di neri che "era tornato a reclamare le piramidi".
Senza polemiche, militarismo o parole in codice razziste, l'equipaggio di Clinton piazzò la sensibilità afro-americana al centro dell'universo e al centro della storia.
Un'idea delle dimensioni che raggiunse "l'equipaggio" dell'astronave all'apice del suo successo nel 1978, la si può avere sapendo che George Clinton ebbe guai legali per aver registrato per più etichette discografiche con le stesse persone (numerosissime) suddivise in almeno 4 band differenti – Parliament, Funkadelic, Bootsy's Rubber Band, Brides of Funkenstein – tutte note oggi sotto l'unica denominazione di P-FUNK.
L'artista delle copertine e delle note degli album dei Funkadelic Pedro Bell fu altresì colpevole di aver perpetrato una bizzarra mitologia afro-centrica col suo immaginario visuale ispirato a Salvador Dalì. I personaggi mitici inventati da Clinton e Bell e ispirati ai musicisti dei P-Funk erano ideali - sebbene ideali fuori di testa – di persone che abitavano un universo fittizio di Funkatività totale. Questi personaggi fornirono una solida base per la fantasia dei giovani che si immedesimavano nell'immagine dei loro "Super Funky Heroes". Nella sua tesi del 1987 sulla "estetica del P-Funk", Michael O'Neal parla dell'utilità dell'estetica P-Funk come immaginario positivo per i ragazzini neri:

- Sir Nose, Starchild e il Dr. Funkenstein in quanto eroi animati (inteso qui come opposto di reali), danno ai ragazzini neri un senso di animazione che gli somigli, in cui possano identificarsi e che prima gli era stato negato, specialmente dai media. Questi supereroi gli offrono un senso mitico di possibilità.

L'importanza di invertire le associazioni negative fra nero, oscurità, sporcizia e stupidità non possono essere sottostimate. Lo sbarramento inflessibile dell'informazione negativa sulla gente di colore perpetrato dai mezzi di comunicazione e la profonda radice semantica del linguaggio che associa bianco con "buono" e nero con "cattivo" possono sopraffare un ragazzino.
I P-Funk cominciarono a ribaltare queste nozioni nelle loro giovani teste.
Gli anni 80 segnano il declino della super-formazione ideata da Clinton a causa anche di beghe legali dovute al doppio nome Parliament e Funkadelic, un'escamotage ideato da Clinton che consentiva agli stessi identici musicisti di registrare dischi come fossero formazioni differenti anzichè una sola.
George Clinton prosegue con una carriera solista con alcuni momenti interessanti come "Atomic Dog" ma che nel complesso non riesce a riprodurre quella magia che lo aveva reso famoso negli anni 70.
Dopo una apparizione come produttore del secondo album dei Red Hot Chili Peppers "Freaky Styley" del 1985, Clinton scompare per ritornare in auge negli anni 90 assieme ad altri suoi colleghi Funk-stars citato tramite sampling in un nuovo genere musicale che è una versione aggiornata del funk: L'hip-hop.
Il campionamento dei suoi storici pezzi sarà croce e delizia per Clinton, un problema che ancora oggi non si è risolto nonostante anni passati nei tribunali. La nuova visibilità acquisita in quanto idolo che influenza le nuove generazioni di rapper non basterà a risolvere i suoi problemi economici con i proventi sui diritti dei pezzi campionati. Proprio a causa dei problemi legali legati agli anni dei Parliament-Funkadelic negli anni 70, Clinton vedrà passare fiumi di dollari sotto il suo naso senza poterne toccare neanche un centesimo.

Paolo Zecca



Canti religiosi su base funk in 'Mothership Connection'




Il concept alla base del Funk di George Clinton





II connubio politicizzato fra Clinton e i rappresentanti dell'Hip-hop negli anni 90

 
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