martedì 12 gennaio 2010

Black albums review:
PRINCE - 'Parade'



La prima volta che ho ascoltato qualcosa di Prince è stato nel 1986, ero un fan sfegatato di Huey Lewis & the news e di Ritorno al Futuro. Mi viene passato un 45 giri con una copertina in bianco e nero e un artista effemminato dal ventre ignudo e gli occhi truccati che canta in falsetto. Bocciato. Subito. Vuoi mettere con la voce maschia di Huey Lewis?
1989 – Da bravo appassionato di fumetti mi gusto il Batman di Tim Burton al cinema e scopro che quel pezzo che mi piace un sacco in cui il Joker deturpa un museo (‘Partyman’) è dello stesso artista effemminato che avevo snobbato alle medie. Scopro che l’album ‘Batman’ è interamente scritto, suonato, cantato e arrangiato da questo maledetto folletto che mi ha illuminato la via diventando il mio unico e solo dio. Jeez, come suona sto nanetto di circa 1.58 cm di altezza!
Parto quindi a ritroso per conoscere e capire Prince, da un album piuttosto scialbo come la colonna sonora di batman, verso i capolavori:
Sign ‘o’ the times
Purple Rain
Parade
Ed è proprio di quest’ultimo album che voglio parlare oggi; dell’album che contiene quella ‘Kiss’ che snobbai nell’86 e che ad oggi ritengo essere il mio album preferito in assoluto, quello che porterei con me su un’isola deserta. Parade è un album incredibilmente vario e completo dal punto di vista musicale e deve la sua particolarità all’essere stato concepito come colonna sonora per il primo film di Prince in veste di regista dopo il grande successo ottenuto da Purple Rain. Un errore quello di mettersi dietro la macchina da presa che gli costa cinque ‘Golden Raspberry Awards’, gli oscar per i film più brutti. La colonna sonora invece si rivela essere il suo primo grande successo di vendite e di critica in europa. Dopo il funk di ‘1999’, Il rock-pop del pluripremiato e semi-autobiografico film ‘Purple rain’ e la psichedelia Beatlesiana di ‘Around the world in a day’, Prince continua a spaziare e a sperimentare con la sua musica rendendo ‘Parade’ un album interessantissimo grazie a brani che passano dallo strumentale, al pop, al funk, al jazz ma grazie soprattutto agli arrangiamenti orchestrali, una novità per questo artista solitamente abituato a occuparsi da solo di tutti gli aspetti della realizzazione dei suoi dischi.
Ed è proprio il contributo di un’intera orchestra e degli arrangiamenti scritti e arrangiati da Clare Fischer che rende Parade così particolare tanto da farlo amare alla follia o odiare senza mezzi termini. Immaginate quindi un album interamente pop a cui sia stata aggiunta in background un’orchestra di pazzi, o geni, che sembrano suonare per i fatti loro, ma di fatto si incastrano meravigliosamente col resto, e avrete Parade.
Le prime 4 tracce dell’album (l’ex lato A del vinile) sono forse quelle meglio riuscite, più compatte fra loro tanto da poter essere considerate un’unica suite, visto lo stesso feeling che le accomuna. La magia che si crea in questo primo lato dell’album è unica, l’aver collaborato con Fisher ha prodotto un risultato unico dato proprio dal dialogo fra i due: Prince che sovraincide al solito tutti gli strumenti e Fisher che arricchisce e abbellisce i background con una maestria che il primo riutilizzerà anche in altri album quali ‘Graffiti Bridge’ e ‘Girl 6’ (guarda caso anch’essi colonne sonore) ma che mai arriverà ad eguagliare 'Parade'. Ascoltare i violini e i fiati di Fischer incastrarsi sulle batterie elettroniche e le chitarre accellerate di Prince in un modo così fuori da essere degno del miglior Frank Zappa, rendono chiaro il perchè questo album negli Stati Uniti non abbia avuto lo stesso successo dei precedenti.
'Christopher Tracy’s Parade' apre il disco rendendone subito chiare le intenzioni fin dalla intro. Batteria elettronica, flauti di pan, fiati e archi che si dividono il tema e basso super funk. L’eleganza del lavoro di Fischer è chiarissima nel bridge, limpido ed elegante e perfetto per la fotografia del film in bianco e nero per cui era stato pensato. Il background di fiati e archi nel finale va completamente in un’altra direzione rispetto alla melodia e ai cori lasciando l’ascoltatore disorientato e piacevolmente frastornato ma pronto per la minimalista e successiva ‘New Position’, pezzo dominato da un martellare ritmico costante di una Steel drum.
Con ‘I wonder U’ prosegue questa magica ipnosi grazie a flauti traversi, archi e un basso che chiacchiera senza sosta come un solista impazzito in sottofondo mentre cerchi di concentrarti sulla melodia. Il tutto esplode in un finale funk con la caratteristica chitarra accellerata di Prince che porta direttamente e senza interruzioni alla ballad che dà il nome al film ‘Under the cherry moon’, che Prince compone assieme al padre John L. Nelson, co-writer anche della prima traccia. A fare da spartiacque fra la prima parte della suite e la seconda, siamo ancora sul lato A del disco, c’è ‘Girls and Boys’ secondo singolo scala-classifiche dell’album dopo ‘Kiss’ che illude l’ascoltatore di essere tornato a sentire il Prince di sempre, quello che nuota nel funk-pop come fosse liquido amniotico. Ma è solo una breve illusione. Anche questo pezzo presenta un arrangiamento spettacolare che nel finale spiazza e si collega direttamente alla totalmente fuori di testa, per un album pop s’intenda, ‘Life can be so nice’ di cui non dirò assolutamente nulla. Vi invito ad ascoltarla qui sotto e a pensare che solo un artista che aveva venduto milioni di copie come Prince avrebbe potuto permettersi un tale arrangiamento, un tale bridge e un tale finale delirante. Dubito che al giorno d’oggi una cosa del genere sarebbe concessa a chicchessia. Era quel tipo di libertà e di creatività che ormai sono scomparse dalla morente industria discografica.
E dopo la scorpacciata di suoni sovrapposti che riempiono completamente i padiglioni auricolari di ‘Life can be so nice’, la prima facciata si chiude con la strumentale e meravigliosamente dolce ‘Venus de milo’ per solo piano, archi e fiati.
L’album potrebbe chiudersi qui e in termini di coerenza forse sarebbe stata anche una soluzione corretta data la coesione fra i brani e la forza data nel complesso da queste tracce unite fra loro stilisticamente in modo così forte, perchè il lato B dell’album presenta invece un insieme di brani che funzionano benissimo da soli come singoli ma poco assieme e soprattutto legano poco con i loro predecessori del lato A.
Si comincia con il terzo singolo estratto dall’album ‘Mountains’ , brano pop orecchiabile e in puro stile Prince utilizzato per i titoli di coda del film e si continua con l’interessante ‘Do U lie?’ che bene avrebbe funzionato sul lato A visti gli arrangiamenti anni 30 legatissimi allo stile del film, ma che qui da sola rimane un episodio troppo poco valorizzato tanto da sembrare solo un breve passaggio fra ‘Mountains’ e la poderosa, immensa, senza tempo ‘Kiss’.
Due parole sulle vicissitudini di questo brano che davvero poco c’entra con la colonna sonora di ‘Under the cherry moon’ nella quale venne inserita all’ultimo minuto.
Prince scrive questo pezzo per il gruppo Mazarati, gli stessi per cui scriverà anche ‘100 MPH’ e ‘Jerk out’ poi passata ai Time. Ne realizza una demo acustica solo chitarra e voce lunga circa un minuto e comprensiva solo della prima strofa e del ritornello. I Mazarati trasformano drasticamente il pezzo adattandolo al loro stile di funk minimalista e aggiungendone le rimanenti strofe. A quel punto Prince si ritrova in mano una Kiss praticamente identica a quella che tutti conosciamo (dategli un ascolto qui in basso) e ne rimane talmente colpito da decidere di riprenderla per sè aggiungendone le parti di chitarra e sostituendo le parti vocali dei Mazarati, di cui lascerà intatti solo i cori, con le sue. Il risultato è quello che diventerà il suo terzo 1° posto della U.S. chart dopo ‘When doves cry’ e ‘Let’s go crazy’, un brano che ‘New Musical Express’ ha messo al numero 4 della sua classifica dei ‘150 pezzi più grandi di tutti i tempi’.
Subito dopo ‘Kiss’ è la volta del terzo singolo di questo album ‘Anotherloverholenyohead’ , classico brano interamente suonato da Prince a cui è stata integrata posticcia l’orchestra di Fischer con risultati meno felici e soprattutto più sconnessi, meno coesi di quelli ottenuti sul lato A del disco e quindi l’album si chiude con una delle più belle, se non la più bella in assoluto, ballate mai scritte da Prince:
‘Sometimes it snows in April’.
Un testo struggente sull’amicizia, sorretto da una base acustica di solo piano e chitarra che non manca di commuovermi ogni volta che ci torno sù e che per la quale le parole non bastano. Ascoltela e ditemi che ne pensate.

Paolo 'Dr. Stone' Zecca

01A.
02A.
03A.
04A.
05A.
06A.
07A.
01B.
02B.
03B.
04B.
05B.

OUTTAKE. KISS by MAZARATI
 
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